Troll Show - Gianni Berengo Gardin

Questo è l'articolo, pubblicato sabato 6 luglio, per il gruppo "TB girls", tratto dalla rubrica "Troll show" che curo ed in cui parlo, di volta in volta, di arte, libri, cinema ed altre amenità.

 Buona lettura :-)

La fotografia è entrata in modo preponderante nella nostra quotidianità da quando il cellulare è stato dotato di fotocamera, si è così sdoganato lo strumento per eccellenza che immortala gli attimi, ossia la macchina fotografica, permettendo a chiunque di divenire fotografo.
Eppure c'è stato un tempo in cui le fotografie erano prerogativa di fotografi professionisti ed è grazie a loro che si debbono molti dei nostri ricordi e del nostro immaginario.

GIANNI BERENGO GARDIN, classe 1930, è senza dubbio uno di questi.
La passione per la fotografia è nata all'età di 12 anni attraverso una "Ica Halloh", macchina fotografica a soffietto della madre. Col tempo, la passione, è divenuta un lavoro che lo porta a raccontare, attraverso lo strumento fotografico, ciò che vede, ciò che accade nel mondo. Per certi versi si considera più un giornalista che un artista, anche se le sue fotografie posseggono un indubbio taglio d'arte.
Dopo aver vissuto tra Roma, Venezia, Lugano e Parigi, si stabilisce definitivamente a Milano nel 1965, dove inizia la carriera di fotografo paesaggista e di reportage, pubblicando per le maggiori testate nazionali ed internazionali quali Il Mondo, Domus, Epoca, Le Figaro, L'Espresso, Time, Stern. Successivamente verrà definito "reporter socialmente impegnato", grazie al suo interesse per tematiche sociali delicate e da cui ha tratto libri fotografici come quelli sui manicomi, sugli zingari e sull'AISM, tutti lavori per cui non si è mai fatto pagare.

Ha lavorato per Alfa Romeo, Pirelli, Olivetti, entrando nelle fabbriche e raccontando con le immagini la vita degli operai.
Le fotografie commissionate dal Touring Club Italiano e dall'Istituto Geografico DeAgostini, lo portano a girare l'Italia ed il mondo, dove ne ha approfittato per realizzare gli scatti che più amava fare, ossia con un tocco di neorealismo; tra i più famosi "Gran Bretagna, 1977", dove una Minor, parcheggiata in fronte alle acque, lascia intravedere nell'abitacolo un uomo e una donna, probabilmente intenti a godersi un attimo di tranquillità. Una delle sue fotografie maggiormente iconiche.
Per questa caratteristica neorealistica, molti lo paragonano a Cartier-Bresson ma in realtà è stato maggiormente influenzato, negli anni parigini (dove conosce tra gli altri Doisneau e Boubat), da Willy Ronis con cui stringe una grande amicizia.
Il neorealismo lo ha assorbito anche attraverso i film francesi degli anni '30 e '40, di cui è grande estimatore, così come ama la scrittura di Faulkner e Steinbeck, da qui nasce l'amore per il bianco e nero, dal nero dei caratteri impressi sulle bianche pagine dei libri che legge, al bianconero delle pellicole cinematografiche sino a quello della televisione.
Il bianco e nero diviene così il suo stile, inconfondibile.
Difficile non rimanere attratti dal rigore, dai chiaroscuri, dalla nitidezza, dall'essenziale che si crea in una fotografia in bianco e nero, personalmente è il genere che prediligo, nonostante i miei scatti da fotoamatrice siano, prevalentemente, a colori.

Ha uno scopo ben preciso Berengo Gardin ed è quello di lasciare un documento della nostra epoca.
C'è chi asserisce che la televisione ed internet abbiano ucciso la fotografia ma in realtà, secondo il pensiero di Gianni Berengo Gardin, restano solamente sulla superficie delle cose, un po' come accade durante un viaggio in treno in cui il paesaggio scorre, magari bellissimo ma nel momento stesso in cui lo vediamo è già passato.
La fotografia invece resta. Un libro fotografico è qualcosa di fisico, se lo possiedi lo puoi sfogliare, osservare, guardare ogni volta tu ne abbia voglia e Berengo Gardin di libri ne ha pubblicati molti ed alcuni gli sono valsi prestigiosi premi come il "Leica Oskar Barnak Award" ai Rencontres Internationales de la Photographie di Arles con il volume "La disperata allegria. Vivere da zingari a Firenze".
Ha tenuto oltre duecento mostre personali in tutto il mondo tra cui Arles, Losanna, Parigi, New York, Roma, Milano, Venezia.
Sue fotografie fanno parte di collezioni permanenti di musei quali il MOMA di New York, il Musée de l'Elysèe a Losanna, Collection FNAC a Parigi. Nel 2003 è stato tra gli ottanta fotografi scelti da Cartier-Bresson per la mostra "Les choix d'Henri Cartier-Bresson" con cui è stata inaugurata la omonima fondazione a Parigi e la foto prescelta è stata "Vaporetto" scattata a Venezia nel 1960, che in un rimando di specchi e prospettive pare riportare diversi piani di vita.
Insignito nel 2008 del premio Lucie Award alla carriera, nel 2009 gli viene conferita la Laurea honoris causa in Storia e Critica dell'arte all 'Università Statale di Milano.

Ho avuto la fortuna di conoscere di persona Gianni Berengo Gardin, attraverso il "Gruppo Fotografico Leica" (fondato da mio padre, Vanni Calanca, nel 1992) che vantava una quindicina tra i migliori fotografi italiani appassionati di Leica (apparecchio fotografico di origini tedesche) tra cui appunto Berengo Gardin, che ritengo essere persona umile  e disponibile nonostante il vissuto e l'indubbia fama.
Qualche curiosità su di lui? La passione per il giardinaggio. Ama piantare alberi e lo fa in un terreno di sua proprietà a Camogli. Considera i selfie un inutile autoelogio. Fotografa rigorosamente in analogico, ritenendo che il vero DNA della fotografia risieda nella pellicola. Odia Photoshop che abolirebbe per legge.

Gianni Berengo Gardin nasce a Santa Margherita Ligure ma si considera un veneziano. Sin dall'età di due anni trascorre le vacanze estive nella casa dei nonni, a Venezia, dove ama giocare sull'altana, tipico terrazzo in legno veneziano. La casa successivamente diviene un albergo e, per un caso del destino, Gianni Berengo Gardin conosce il figlio dei proprietari dell'albergo e diventa suo amico, così continua a trascorrere, tra i 9 ed i 16 anni, le vacanze giocando sull'altana insieme all'amico Pierluigi.
Venezia, come noi appassionati di Trollbeads ben sappiamo, non significa solo "laguna e gondole" ma anche "vetro" e le perle di Venezia sono state a lungo sinonimo di essa nel mondo. Sono il simbolo dell'identità veneziana, una sorta di miracolo alchemico dell'umile sabbia.
La famiglia Berengo Gardin possedeva un negozio, in Calle Larga San Marco a Venezia, di conterie, ossia perle a lume e vetri di Murano. Ai tempi i negozi di questi tipo erano solo due o tre e quello delle zie di Gianni era così antico e famoso da finire in un romanzo di Henri de Régnier intitolato "L'Altana".
La famiglia auspicava che Gianni proseguisse la tradizione del negozio ma lui scelse un'altra strada.
Lo storico negozio in Calle Larga San Marco ora è sostituito da un bar e le sue perle di vetro sono conservate, dalla moglie Caterina, in grandi barattoli nella casa milanese.

Sarebbe curioso sapere se Søren e Lise hanno mai conosciuto questa storia, che inevitabilmente si intreccia un poco con la loro.
Venezia, perle, fotografia, arte e passioni che si intersecano e che lasciano ad ognuno di noi emozioni da custodire ed interpretare.

Il bracciale che ho composto, si ispira alla fotografia di Berengo Gardin che amo di più. Pensato con pochi beads, immaginando possa indossarlo lui stesso, magari proprio in quel bangle portato al polso, da cui non si separa mai.

- Elena Calanca -

Beads: Diamante Bianco (designer: Lise Aagaard); Armadillo Nero (ritirato, designer: Lise Aagaard); Maggiolone (dal WT Germania, designer: Tomas Cenius); Equilibrio (dal People's  Bead 2014, designer: Mirjam Seling); Diamante Nero (designer: Lise Aagaard).
















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